QUANDO
ASCOLTAI PER LA PRIMA VOLTA........
Quando
ascoltai per la prima volta “A Vulpi e u mulu”, nella
soffitta nella quale il mio amico Massimo Mirabile, flautista dei
“Malanova”, mi aveva portato per vedere all’opera
lui ed il suo nuovo gruppo di musica etnica impegnato nella registrazione
del loro primo album, ricordo che rimasi ammutolito. “Le cose
che piacciono al volo, in genere, ammutoliscono”, pensai, mentre
ascoltavo il brano, non ancora ultimato e perfezionato. Non avevo
mai sentito, infatti, un connubio così ben riuscito tra calore
musicale, espressività vocale e ritmo. Non almeno, in lavoro
“amatoriali”, registrati più o meno all’impronta.
Ricordo
anche quello che dissi subito dopo a quel ragazzo biondo e riccio
che continuava ad ascoltare e riascoltare il pezzo, gli occhi dietro
le lenti a fissare il monitor del computer sul quale scorrevano le
tracce dell’incisione. Gli dissi quello che si dice spesso in
situazioni del genere, e cioè una frase che suonò no
po’ come: “Complimenti, è molto bello”. In
realtà stavo pensando tra me e me che quel pezzo era molto
più che bello: a me sembrava quasi perfetto.
Avevo
appena conosciuto Pietro Mendolia e i “Malanova” e ne
ero rimasto immediatamente incantato. Mi sarebbe piaciuto scoprire
come riuscivano a nascere pezzi come quello che avevo appena finito
di gustare. Soltanto qualche giorno dopo, quando pietro mi avrebbe
chiesto se avessi voluto prendere parte alle registrazioni di qualche
brano con il pianoforte, mi sarei reso conto che la fluidità
delle canzoni che lui scriveva e che con gli altri amici del gruppo
riuscivano ad arrangiare, aggiungendo ciascuno un pezzo del proprio
gusto musicale, era principalmente dovuta al fatto che i “Malanova”
erano (e sono) un fantastico gruppo di amici.
Quelle
canzoni, che ad una ad una adesso stavo scoprendo, rispecchiavano,
aggiungendoci il tocco inconfondibile della poetica dialettale, a
volte irriverente e grossolano, altre dolcissimo e delicato, quello
che i ragazzi erano riusciti a creare intorno a loro: una dimensione
umana incredibilmente bella e vera.
Da Nino, il fisarmonicista “fantasista” capace di mixare
folk e pop in maniera quasi naturale, a Giancarlo, uomo “tuttofare”
della band (suona il sax e molti strumenti a fiato artigianali ma
anche le percussioni), da Sabina, “cantantessa” che “sa
cantare” veramente e, all’occorrenza, voce recitante del
gruppo, a Giuseppe, percussionista “travestito” da raffinato
cantante jazz-blues (o viceversa, se preferisce), senza dimenticare
Massimo – la tecnica messa al servizio della “fantasia
improvvisativa”, Marco, chitarrista da palati fini che ha anche
il vizio di suonare bene il contrabbasso e, naturalmente, Pietro,
il “suonatore” di chitarre e mandolini ma soprattutto
poeta, capace di toccarti l’animo: tutti con il proprio ruolo,
capaci di reinventarsi ogni volta in modo sempre diverso, a seconda
del brano interpretato, o a seconda della loro personale ispirazione.
Ma soprattutto tutti amici sinceri. Che hanno scoperto di essere in
grado di creare atmosfera con la propria musica divertendosi e divertendo.
Probabilmente uno dei gruppi “etnici” meglio assortiti
e “completi” che ad oggi suona nel messinese. Legati senza
soluzione di continuità a formare un complesso quasi perfetto,
dove melodie a volte dal forte sapore “pop” sfumano nei
suoni folkloristici tipici della tradizione dei nostri luoghi, dove
i versi delle canzoni evocano immagini nitidissime ed accattivanti,
e passione, umorismo, nostalgia e divertimento si miscelano armonicamente.
Al
gruppo. Di recente si sono aggregati Stefano, un bassista con passato
rock alle spalle, Rio con le sue curiosissime percussioni e Giovanni
con il clarinetto e i flauti, che hanno regalato una ventata di nuovo
entusiasmo. Neanche loro sono stati risparmiati dalla magia aggregante
del “Cazzulatùmmula” di Pietro e dei suoi compari.
E la magia dei “Malanova” è tutta nascosta in questa
cosa qui, credo. E’ nascosta nell’aver saputo creare un
ambiente fantastico, un “progetto musicale” di ampio respiro
non legato ai singoli ma alla forza dell’insieme, in cui, però,
viene dato spazio alla creatività di ognuno. Un piccolo miracolo,
probabilmente.
Di
tutto questo ho avuto la fortuna di fare parte anch’io, seppure
in maniera limitata. Adesso ne parlo con questo trasporto solo perché
dei “Malanova” ho tantissima nostalgia, sia come esperienza
musicale sia come, soprattutto, grandissima esperienza umana.
Mi
manca quella sensazione di coinvolgimento che provavo suonando con
loro, immancabile: che le canzoni parlassero di pescatori che trascinano
reti pesanti come un destino ineluttabile o di metaforici galli che
non sanno più cantare, il risultato era sempre e comunque il
medesimo.
Qualcosa
nell’anima ti si agitava. MI mancano le chiacchierate fino a
notte fonda, dopo aver suonato, in quella mansarda dove ci si incontrava
due o tre volte a settimana. Le risate, le storie che ci si raccontava,
la musica che diventava pretesto per stare assieme. Tutto questo ed
altre cose che probabilmente non riuscirò mai a dire fin troppo
bene perché siano comprese dagli altri, sono stati per me quei
mesi che ho suonato con i “Malanova”. E’ inevitabile,
quindi, che a volte prenda quel CD nel libretto del quale, assieme
a quelli di tutti gli altri, c’è stampato il mio nome.
Lo guardo per brevi istanti, poi metto il disco nel lettore e lo ascolto.
Una, due volte. Penso: di mio, in senso strettamente tecnico-musicale,
in fondo c’è molto poco, quasi nulla (il pianoforte è
stato inserito a lavoro praticamente ultimato), eppure, incredibilmente,
in quelle canzoni, ogni volta, mi ritrova quasi del tutto. Come se
ogni nota, ogni singolo accordo, portasse incisa, sotto, la mia firma.
Francesco Carrozza
(Francesco
Carrozza dopo aver conseguito la laurea in medicina si è trasferito
a Ravenna, dove attualmente vive e lavora. Possiamo dire che è
un “Malanova in trasferta”).
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